Cerca nel blog

venerdì 15 maggio 2015

Intervista a GIOVANNI VENOSTA



                                       



Ricordaci le principali tappe della tua carriera come compositore di musica per cinema.

Intorno ai 17 anni, con i compagni di scuola Giorgio Garini (futuro documentarista e aiuto regista di Soldini) e Aldo Fittante (futuro critico cinematografico) comincio a frequentare le sale sempre più assiduamente: mi ricordo che le visioni di “Nel corso del tempo ” e “Alice nelle città” (con la musica degli ancora amatissimi Can) di Wenders furono una rivelazione, insieme ad “Aguirre furore di Dio” di Herzog (con la musica di un'altro gruppo di culto, i Popol Vuh). Dopo il primo lp autoprodotto “Olympic signals” e i primi lavori con Roberto Musci pubblicati da Recommended Records, ecco che nel 1989 mi si prospetta la possibilità di lavorare per il cinema, con “L'aria serena dell'ovest”, il primo film “ufficiale” di Silvio Soldini. Da lì arriva l'interessamento della casa editrice CAM, specializzata in colonne sonore (Rota, Morricone, Bacalov, Fusco, ecc.) che mi “assiste” economicamente, di fatto producendo molti dei miei successivi lavori con il cinema, fino alla vendita del proprio catalogo alla Sugar e alla chiusura delle produzioni di colonne sonore nel 2010. Nel 2000, dopo “Pane e tulipani” (Ciak d'oro per la migliore colonna sonora) la mia “carriera cinematografica” si consolida giusto un pochino, arrivando a lavorare con altri registi italiani e stranieri di un certo prestigio: tra gli altri, i brasiliani Goldman (“Princesa”) e Jorge (“Estômago”), e gli italiani Pau (“Pesi leggeri”) e Faenza (“Il caso dell'infedele Klara”). Ricevo tre nominations ai David di Donatello per “Brucio nel vento”, “Agata e la tempesta” e “Giorni e Nuvole” di Soldini e una al Grande Premio del cinema brasiliano per “Estômago”. Dal 2002 quasi tutte le pellicole in concorso al Festival di Locarno sono precedute da una sigla con la mia firma.




Quale è il procedimento compositivo delle tue colonne sonore? Prima vedi il film, componi vedendo il film o non vedi il film per niente?
Di solito si procede alla stesura dei primi provini musicali dopo aver visto un pre-montato di alcune scene, a meno che non si abbia la necessità di avere un brano che già serve durante le riprese, come nel caso di “Pane e Tulipani”, nel tango che Bruno Ganz fa finta di cantare nel finale. La cosa più difficile all'inizio è trovare con il regista un territorio e un alfabeto musicale comune, che permetta di confrontarsi concretamente e quindi delimitare il campo d'intervento. Ogni tanto lo si fa ascoltando astrattamente insieme della musica già edita oppure anche con l'utilizzo delle cosiddette “temporary soundtracks”, cioè dei brani che il regista e/o il montatore appoggiano provvisoriamente sulle immagini e ai quali poi il compositore deve fare riferimento, con tutti i vantaggi e i problemi del caso. Ogni tanto mi è capitato di utilizzare anche alcune tecniche compositive e di registrazione provenienti dai miei lavori puramente musicali più sperimentali, come l'improvvisazione guidata o procedimenti di elaborazione elettro-acustica del materiale sonoro.





Quale è la colonna sonora a cui sei più legato e perché?
 Difficile dire...Per esempio ne “Le acrobate” avevo proposto con successo di avvicinarci al mondo musicale di Iva Bittova. In “Brucio nel vento” credo di essere riuscito a fondere piuttosto efficacemente la musica classica con il folk e il rock, ma forse è soprattutto con la colonna sonora di “Estômago” che con il regista (e il montatore) c'è stato un rapporto di notevole fiducia reciproca, tale da consentirmi di creare un risultato davvero variegato e completo.






Qual è il tuo rapporto di affinità con Silvio Soldini , il regista per cui hai composto più colonne sonore?


Anche dopo così tanti film fatti insieme, l'affinità, come tu dici, è una cosa che va costruita e riconfermata volta per volta, progetto per progetto. Credo di poter affermare che abbiamo gusti cinematografici e musicali abbastanza simili...ciò ha senz'altro aiutato.








E a quando la colonna sonora di un film o documentario di Werner Herzog, di cui si parlava nella ns. intervista di 20 anni fa?

In occasione di una conferenza a Milano all'Anteo, forse ricorderai che al Maestro riuscii a dare brevi manu i primi due miei due lp con Musci. Chissà se li ha mai ascoltati...Comunque negli ultimi anni ha scelto di collaborare con un musicista di tale levatura e originalità, Ernst Reijseger, che proprio non mi sento di fargli alcun appunto.

















Mamud Band, Sonata Islands e diSturb und Drang sono dei divertissements o fanno parte della tua poliedricità musicale? Mi sembra che il problema di suonare la tua musica dal vivo tu l’abbia brillantemente superato...

Per suonare a quel livello bisogna darci dentro, studiando e provando come dei matti...altro che divertissements!!! A parte gli scherzi, anche se a “tarda età”, attraverso questi progetti ho capito che si può anche suonare dal vivo senza “soffrire” troppo. Le mie resistenze, come sai, erano soprattutto di matrice gouldiana (mutatis mutandis). Se si riesce a superare la diffidenza e, appunto, la sofferenza determinata dalle (inevitabili?) imperfezioni delle esibizioni “live”, ecco che si può accedere anche a un altro livello di esperienza personale. In realtà, dovevo liberarmi (e non ci sono ancora riuscito del tutto) dalle costrizioni psicologiche iper-perfezionistiche ereditate dagli studi classici.





Ci puoi parlare dell’evoluzione di questi tre progetti?


Per quanto riguarda Mamud Band posso dire che l'afro-beat, la musica della Africa nera più in generale e il funk sono sempre stati tra i miei ascolti prediletti. Non ho fatto altro che dare libero sfogo a questo tipo di “energia” musicale (perché di ciò si tratta) e il gioco è fatto. E ti assicuro che suonare in un gruppo di 10 elementi, riuscendo a far scatenare anche gli spettatori, per uno come me che viene da un côté piuttosto intellettuale e avant-garde, è una gioia non da poco. Con Sonata Islands (alla qual dicitura abbiamo di recente aggiunto la parola “Kommandoh”) e con il progetto diSturb und Drang con Roberto Zanisi e Giovanni Falzone non ho fatto altro che dar vita, una volta trovati i giusti collaboratori, all'aspetto più intimamente legato alle mie passioni musicali: col primo, l'osare eseguire dal vivo la musica dei Magma di Christian Vander, riarrangiandone per quintetto alcune composizioni originali, accostandone altre scritte appositamente con lo stesso “esprit”, mentre col secondo abbiamo dato vita a un repertorio senza confini di genere, esattamente come procedono da sempre i miei ascolti musicali. Il tutto condito da una notevole dose di ritmo, virtuosismo e giusta follia.
          





Tu sei uno dei pochi musicisti che conosco, con una grande curiosità per quello che fanno gli altri musicisti in giro per il mondo. Pensi che questo incida in maniera importante sull’evoluzione della tua musica?


Non potrebbe che essere così. Credo che una delle mie principali caratteristiche sia una sfrenata, quasi insana curiosità. Curiosità che non si è limitata fin da bambino ad ascoltare seduto su un divano una miriade di stimolazioni sonore, ma che anche attivamente mi ha fatto viaggiare in tutti gli angoli del mondo semplicemente per scoprire l'Altro.


                                                         



Sulla scena italiana è cambiato qualcosa rispetto a 20 anni fa o la tua opinione è sempre la stessa?

Non mi ricordo con precisione qual era la mia opinione, comunque se vuoi sapere quali sono i musicisti italiani che negli ultimi anni ho seguito con maggiore attenzione, questi principalmente sono: Fausto Romitelli, un grandissimo compositore, scomparso ahimè di recente a soli 40 anni; in ambito avant-rock, gli Yugen, al momento ai vertici del “prog” internazionale, gli Zu, il progetto di Roy Paci “Corleone”, Alberto Turra; in ambito jazz il già citato Giovanni Falzone, Francesco Cusa, Simone Zanchini. Come esecutori, l'ensemble Sentieri Selvaggi è da tempo diventato una certezza.



                                          



Vedi ancora 200 film all’anno?


Direi di sì, ma con una diversa modalità. Forse ne vedo anche di più, ma molto molto meno in sala, dove non sopporto più i film doppiati, che vado a recuperare in lingua originale durante le panoramiche dei Festival oppure in streaming in rete. Ultimamente fanno capolino anche alcune serie televisive (anche di animazione) che, quando non allungano troppo il brodo, possono arrivare a proporre veri momenti di originalità, come “Utopia”, “Dexter”, “Homeland” o “Lost”. Essendo da tempo giurato dei David di Donatello vedo con una certa regolarità una quarantina di film italiani all'anno.



















Quali sono le cinematografie o i registi che più ti hanno colpito negli ultimi vent’anni?

Non so se posso parlare di intere cinematografie, ma piuttosto di alcune opere di singoli registi. Ecco alcuni tra coloro che a mio parere hanno mantenuto nel tempo una maggiore continuità qualitativa: Tarantino, Lynch, Von Trier, Gondry, P.T. Anderson, Kim Ki-duk, Solondz, Audiard, Dardenne, Garrone, Wong Kar Wai, Miyazaki, Leigh, Herzog (nei documentari), Sokurov, van Warmerdam, Ozon, Hillcoat, Bong Joon-ho, Roy Andersson, Jonze.



                                                                                



C’è qualche film la cui colonna sonora ti sarebbe piaciuto fare?


Quasi sempre quando mi piace un film, vuol dire che ho anche piuttosto gradito la sua colonna sonora, quindi alla tua domanda preferirei rispondere così: c'è in particolar modo un regista di cui ammiro moltissimo lo spirito con cui affronta le proprie colonne sonore, anche quando gli è capitato di cambiare compositore, come nel caso di Paul Thomas Anderson. Sia con Jon Brion che con Jonny Greenwood, egli ha probabilmente saputo dare le corrette indicazioni, la necessaria libertà e il giusto spazio ai propri (tra l'altro eccellenti) collaboratori. In linea assolutamente teorica mi piacerebbe musicare il suo prossimo film. Invece, se dovessi menzionare una colonna sonora che mi è piaciuta moltissimo e che personalmente non avrei mai immaginato in una maniera così originale ed efficace, è la musica della recente serie inglese “Utopia”, composta da Cristobal Tapia de Veer.









Quali sono i tuoi progetti futuri?

Intanto continuare a sopravvivere col mio mestiere così come ho fatto fino ad ora. Sembra quasi una provocazione, ma negli ultimi tempi sto vedendo talmente tanti musicisti validissimi faticare e a volte soccombere, che una certa ansia si fa strada...Se ad esempio penso che ogni volta che si prova a mettere in piedi un progetto, si scrive, si studia e si prova per dei mesi, per poi suonarlo in pubblico solo un paio di volte, in più con compensi ridicoli, mi vien male. Il nostro mestiere sta diventando sempre di più un simpatico hobby per persone agiate.
Comunque, andiamo avanti, incoscienti e a testa bassa: sto accingendomi a scrivere la nuova sigla del Festival di Locarno, a portare dal vivo il progetto Sonata Islands Kommandoh (in repertorio anche De Futura di Jannick Top, aiuto!). Sempre con Sonata Islands stiamo mettendo in piedi un altro progetto, dal nome Nippon Eldorado: con l'aggiunta della poliedrica voce di Sarah Demagistri, il repertorio sarà caratterizzato dal tentativo di restituzione di alcuni brani del periodo d'oro dell'avant-rock (folk) giapponese degli anni 80/90! Ho trascritto dai dischi e riarrangiato per sestetto alcune perle dei Wha Ha Ha, After Dinner, Jun Togawa, Phew, e Kiyohiko Senba. Per la traslitterazione delle parole mi sono fatto aiutare da un amico linguista friulano che vive a Tokyo.
Infine, sto aspettando di ricominciare a scrivere musica per lungometraggi, con progetti che di questi tempi continuano a slittare, anche per anni. Evviva!